pensieri.parole.fantasia: Calion-Gli alieni siamo noi -dove mi trovo?- cap3

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venerdì 17 febbraio 2017

Calion-Gli alieni siamo noi -dove mi trovo?- cap3

Iniziò a correre per l’edificio. C’erano strane creature imbalsamate. Alcune più grandi dei nostri dinosauri, dai colori accesi e teste strane. Era arrivata alla conclusione che si trattava di un museo o una roba del genere. Alcune creature avevano la pelle variopinta, ed erano di colori e forme strane. Si fermò a guardare una vetrina. C’era un animale, vivo, simile ad un geco, ma dal colore verde intenso, e occhi gialli e tondi. La cosa era spinosa, e si spostava ad una velocità assurda. Si spiaccicò davanti al vetro mostrando una bocca simile a quella dei pesci pulitori, ma aveva i denti di una sanguisuga. Lisa si spaventò, e andò a sbattere contro una teca che si frantumò in mille pezzi. Un suono assordante la costrinse a tapparsi le orecchie, sembravano ultrasuoni. Iniziò a correre via. Da lontano vide una sagoma, non riuscì a mettere a fuoco, ma sapeva cosa doveva fare, scappare. Uscì fuori da quella specie di museo e si ritrovò su una collina, guardò in alto, il cielo aveva un colore strano, era di un bianco perlaceo intenso, e quando riuscì a far abituare gli occhi vide un pianeta, bianco e grigio perlato, completo di anelli proprio sopra di lei, sembrava quasi che stesse per schiantarsi, ma non era cosi, si muoveva solo su se stesso. << questo non è possibile, non può essere vero! >> chiuse gli occhi, le mani tremavano, sentiva che stava per svenire, ma un altro suono la fece riprendere. Si avvicinava qualcuno. Corse verso quello che sembrava un bosco. Le piante avevano un odore strano, e l’aria era diventata pesante. Delle strane voci si avvicinavano a grande velocità. La vista iniziava ad offuscarsi, e per camminare Lisa si poggiava di albero in albero, ma questo le provocò solo delle ustioni sulle mani. Staccò il borsello prendendo il coltello di suo padre. Il borsello sparì tra le foglie, non aveva forza nelle mani. Continuò a camminare, il respiro si faceva di passo in passo più pesante, non vedeva altro che ombre e voci. L’avevano accerchiata. Il coltellino di suo padre alla mano. << non vi avvicinate! >> La sua voce era debole. Qualcosa la afferrò, ma non riusciva a distinguere nulla, si voltò roteando il coltello, e sicuramente qualcosa colpì. Poi si afflosciò a terra come un ramoscello spezzato. Quando Lisa si svegliò era in una specie di teca di vetro opaco, con delle sonde che ispezionavano il suo corpo. Era mezza nuda, aveva indosso solo una specie di coperta, ma non riconosceva il tessuto, sembrava quasi una seconda pelle, e rifletteva la luce. Non riusciva a muoversi, eppure non c’era niente che la legava. I suoi occhi si riempirono di lacrime, avrebbe preferito essere morta in quel momento. “Ma dove sono finita!” continuava a ripetersi. Poi qualcuno entrò nella stanza. Il corpo di Lisa si liberò dalla morsa, si avvolse nella strana coperta e si rannicchiò sulla lastra metallica e fredda. Un ombra si avvicinò al vetro opaco, poggiò una mano, era nettamente più grande della sua, ma aveva cinque
dita. Lisa fu presa dalla curiosità, e allungò una mano verso l’ombra, che la ritrasse immediatamente, e lei per paura fece lo stesso. La lastra di metallo era fredda, ma quella specie di coperta emanava calore dandole un lieve benessere, si sentiva una cavia da laboratorio. Le mani dello strano individuo si spostarono e pochi istanti dopo il vetro divenne trasparente. Lisa sollevò gli occhi piano, urlò per lo spavento, portandosi le mani davanti la bocca. Una pelle bianco pallido, quasi trasparente, lasciava intravedere le vene sotto il corpo snello e umanoide. Le orecchie erano piccole e allungate verso l’alto, sembravano quelle di un elfo. I capelli erano bianchi e corti, con quello che potevano sembrare dei piccoli rasta che scendevano su un lato, decorati da pietre dai colori intensi. Gli occhi erano grandi e blu notte, ma quasi neri, e non avevano le pupille, un unico colore oscuro e inquietante. Si copri il viso con le mani e iniziò a piangere. Era proprio come pensava, era finita su un altro pianeta. Lo strano alieno la guardava, aveva indosso degli strani abiti. Dalla porta entrarono altri due altri due alieni, avevano la pelle meno trasparente, quasi per niente, e di colore più scuro, quasi sul
grigio. I lineamenti erano però uguali. Una era di razza femminile, e la trovò perfino graziosa, con i suoi occhi viola e i capelli lunghi e lilla. L’altro invece aveva un aria dura e faceva paura, gli occhi erano grigi e grandi, la guardava con orrore e durezza. A Lisa sembrava di essere entrata nel film Indipendence Day, solo che lei faceva la parte dell’aliena. Lo strano e grigio alieno schiacciò un bottone al lato del vetro, e le sonde riportarono Lisa sdraiata e totalmente immobilizzata sul lettino freddo. Lisa si voltò verso l’alieno dai capelli chiari, anche il suo viso era duro. Cercò di leggergli le labbra, e non sembrava che stesse facendo una conversazione piacevole. Poi però quello dall’aria cattiva fece una specie di inchino e se ne andò via. Tornò libera di muoversi, lo strano tipo annui con la testa, lei tremante fece lo stesso e tornò a rannicchiarsi su se stessa. Nei giorni che seguirono le fecero tutti i tipi di test, prelevarono campioni di sangue, capelli, tessuto epidermico, perfino uno stampo digitale del suo apparato nervoso e muscolare. Ma non la fecero mai uscire da quella teca di vetro. Non sapeva neanche se ci sarebbe retta in piedi se fosse riuscita ad uscire. Era debole, e veniva alimentata con delle sonde che ogni sera comparivano come dal nulla per conficcarsi nella sua pelle. Aveva iniziato a dargli dei nomignoli a quegli alieni che ormai vedeva ogni giorno. Per quello grigio era lo stronzo, per la ragazza dai capelli lilla aveva scelto Liliana, perché era molto aggraziata, per quello che aveva visto per la prima volta dai capelli bianchi non aveva scelto un nome, non le veniva proprio in mente. Un giorno lo strano ragazzo dai capelli bianchi si avvicinò al vetro. Le fece dei strani gesti. Riuscì però a capire cosa voleva dirle, e cioè che stavano per aprire la teca. Lisa annui, e la bella Liliana aprì il vetro. Non tentò neanche la fuga, dove sarebbe potuta andare? Di certo non poteva tornare a casa. L’aria iniziò a diventare pesante come la prima volta. Si strinse le mani al petto scendendo dal lettino, si sentiva svenire, cadde in avanti, priva di ossigeno, ma il ragazzo l’afferrò prima di toccare terra. Le aprii la bocca, e le infilò una specie di disco molliccio. Lisa si prese la gola, stava soffocando, ma poi iniziò a inspirare piano, e l’aria divenne leggera e respirabile. Quando capi che l’aria non le faceva più male iniziò ad ispirare affondo, era stupita, credeva l’avrebbe uccisa, invece l’aveva aiutata a respirare.

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